L’uomo del giorno è Gianni Migliaccio, allenatore della Vecchiaudace. Un tecnico e un uomo che si è spesso trovato davanti a sfide difficili, e a volte anche a delusioni e amarezze, nel calcio e nella vita. E nel suo modo di fare, di rapportarsi ai problemi, alle persone, e persino nella maniera di rispondere alle nostre domande, dimostra un realismo schietto e apparentemente duro (da non confondersi assolutamente con cinismo) che riesce a trasformare in un ottimismo e un sorriso sincero. Chi lo conosce forse ha avuto riscontro di questa caratteristica che forse lo distingue da chiunque altro, come persona e come allenatore. Un allenatore che, ancor prima di allenare, cerca l’empatia con il suo gruppo, cercando di andare a fondo dell’animo di ognuno dei suoi giocatori e cercando di approcciare a loro nella maniera più consona e adatta ai loro caratteri. Un uomo e un allenatore che oggi abbiamo il piacere di raccontare, attraverso una delle sue più grandi passioni: il calcio. Partiamo…
È sempre stato uno dei tuoi desideri allenare, anche quando eri ancora giocatore?
“Ho sempre pensato di volermi misurare con questo ruolo, provando a dare qualcosa a un gruppo di persone, di giocatori. La creazione del gruppo è sempre il mio obiettivo principale quando arrivo in una squadra: a volte si riesce, a volte no… Per me fare l’allenatore non è solo mettere in campo una squadra, ma fare un po’ anche da ‘psicologo’: bisogna basarsi sulle caratteristiche di ogni giocatori. Non sono tutti uguali, sia qualitativamente che e soprattutto caratterialmente: quello che dici in un certo modo a uno, non sempre puoi dirlo all’altro nello stesso modo… credo di avere qualche numero in questo senso. Mi piacerebbe sempre riuscire a trasmettere valori e nozioni a tutti i tipi di giocatori di una squadra, riuscendo a creare un gruppo unito e coeso”.
Ripercorriamo insieme la tua carriera di allenatore.
“Ho cominciato con una bellissima esperienza nel Settore Giovanile della Calvarese, dove ho allenato praticamente tutte le leve di questa meravigliosa società. Poi, sono andato al Don Bosco per un paio di anni, dove ho allenato la Juniores (leva ’85): anche lì, anni davvero piacevoli. La prima esperienza con la prima squadra l’ho fatta con la Crevarese, dove sono rimasto circa due/tre anni. E poi, sono arrivato a Cornigliano: inizialmente ho allenato anche qui la Juniores, poi sono subentrato in prima squadra per il finale di campionato. Da lì, sono poi arrivato alla Voltrese dove però ho trovato un ambiente non molto congeniale alla mia persona: infatti sono durato due giornate mi sembra… sono tornato a Cornigliano, e poi una prima breve parentesi alla Vecchiaudace, dove ero subentrato a metà anno. Poi l’esperienza con la Sampierdarenese, dove avevamo ricostruito una squadra praticamente nuova: con me erano arrivati Edris Rizqaoui, Morani, Gallo, De Moro… avrei avuto bisogno di più tempo, essendo un gruppo nuovo. Ma la società non ha avuto pazienza, e sono andato. Poi l’anno scorso al Progetto Atletico dove, fatta esclusione per il finale amaro, è stata una stagione piena di soddisfazioni… e infine, quest’anno, sono ritornato alla Vecchiaudace”.
La stagione che ricordi con maggior piacere?
“Sia per risultati sportivi, che umani, ti dico la stagione con la Juniores del Don Bosco, ormai quasi vent’anni fa. Anche se naturalmente l’apice della mia avventura da allenatore è sicuramente stato quel girone di ritorno con la Corniglianese, dove ho capito veramente cosa vuol dire allenare una squadra”.
E invece, un rimpianto?
“Mi sarebbe piaciuto trovare più spesso situazioni dove non si debba iniziare una stagione in difficoltà. Non mi fraintendere, sono abituato e per certi versi mi ha dato anche soddisfazione, però a volte ci ho pensato a come sarebbe lavorare in un ambiente tranquillo, dotato di strutture e comodità…”.
Sei tornato alla Vecchiaudace dopo diverso tempo. Non sei alla prima esperienza su questa panchina… cosa ti ha portato a ritornare?
“La Vecchiaudace è una bella realtà perché è sempre stata una famiglia, che ha sempre cercato di vivere con le proprie forze, poche, ma buone. È un gruppo che, pur cambiando gli interpreti, è sempre stato all’altezza della situazione. Il Presidente Maurizio Scotto è una bravissima persona, ti da piena fiducia e, seppur con pochi mezzi a disposizione, è sempre riuscito a creare squadre all’altezza di rimanere in questa categoria. C’é sempre riuscito, quest’anno abbiamo avuto qualche difficoltà in più… ma sono sicuro che alla fine l’avremmo spuntata”.
Cosa hai imparato in questi anni da allenatore?
“Ho imparato che il mio pregio, ma anche il mio difetto più grande è il tipo di approccio che ho con le mie squadre. Sono sempre stato più un amico che un allenatore per le mie squadre, a posteriori ti dico che forse dovrei imparare a essere più duro nel mio ruolo. Da una parte, mi ha creato tante gioie perché ho conosciuto giocatori e amici che mi vogliono veramente tanto bene, anche a distanza di anni. Tante volte, però, questo mio modo mi si è ritorto contro. E un’altra cosa che so, è che il gruppo nella sua totalità è fondamentale: dal numero 1 al numero 24, i ragazzi devono essere trattati e rispettati tutti nello stesso modo, senza fare distinzioni. A quello ci pensa il campo, l’unico a fare la selezione: non è l’allenatore a farlo, anche perché non conosco tecnici che lasciano in panchina i più bravi”.
Tra i colleghi e i professionisti, a quali allenatori provi a ‘rubare qualcosa’?
“Tra gli allenatori di oggi nei nostri dilettanti, ho sempre stimato Marco Pirovano: al di là del suo indiscutibile sapere nel mondo del calcio, si sa sempre porre nella maniera giusta e sa sempre tirare fuori il meglio da quello che ha a disposizione. Ci sono poi altri allenatori fortissimo, ad esempio Luca Monteforte… però con Pirovano ho avuto modo di osservarlo più da vicino, anche durante gli allenamenti. Ho sempre cercato di attingere qualcosa, mi sarebbe piaciuto molto lavorare con lui perché si può imparare tanto. Tra i professionisti il nome del momento è Giampiero Gasperini, ma io apprezzo molto Rafa Benitez. Ho studiato per tanti anni il suo metodo integrale, dove lui con la collaborazione del suo staff faceva esercitazioni con più obiettivi, non solo specifici. E i suoi metodi li rivedevo molto nelle squadre che allenava: le sue squadre hanno sempre dimostrato di mettere in atto quello che faceva settimanalmente”.
Invece, c’è un giocatore che porteresti sempre con te?
“Certo… Rosario Granvillano. Sia come giocatore, che, oggi, in altri ruoli. Aiuta sempre, lo ha fatto naturalmente da giocatore, ma lo ha fatto anche da Direttore Sportivo: al Progetto Atletico, insieme a Simone Maggi, mi hanno aiutato tantissimo, e abbiamo portato (quasi) fino alla fine la squadra in maniera trionfale. Anche se poi le cose sono andate come sono andate… devo molto a queste due figure”.
Quest’anno con la Vecchiaudace avete avuto molte difficoltà. Come mai?
“In Prima Categoria inizia ad esserci qualità. Non voglio trovare scuse o alibi, anzi, ti dico che questo è il mio anno peggiore come allenatore. Però ti dico anche che abbiamo avuto molti problemi, a partire dalla struttura… o al discorso portieri: neppure Hitchcock avrebbe potuto scrivere una trama del genere. Grandi nomi, e alla fine ci siamo ritrovati persino senza portiere in alcune occasioni. Siamo partiti che sinceramente pensavamo di aver fatto un buon lavoro, e infatti secondo me non era tutto sbagliato. Abbiamo deciso di adottare una filosofia che ci ha indirizzato sui giovani, e forse abbiamo un po’ pagato questa scelta, un pizzico di esperienza in più ci sarebbe servita. La squadra tutto sommato credo non fosse peggio di tante altre, però non riuscivamo a concretizzare: era un po’ il nostro handicap, abbiamo fatto pochissimi gol. E non siamo riusciti a chiedere partite che avremmo dovuto vincere, finendo alla fine per perderle. Comunque, mi sono assunto le mie responsabilità arrivando persino a dare le mie dimissioni, che però la società ha respinto“.
A gennaio poi c’è stato un importante mercato di riparazione, con l’arrivo di nomi importanti che però non erano ancora riusciti a risollevarvi dal fondo della classifica.
“Sì, abbiamo pensato di chiamare qualche amico a darci una mano: nomi davvero importanti e fuori categoria, ma forse non tutti sono riusciti a calarsi completamente nella parte. Poi, le partite purtroppo per noi non si vincono solo con i nomi. Ho una squadra fortissima, ma per vincere bisogna darsi da fare: e se non lo riesci a fare, soccombi. Nonostante questo, vorrei ricominciare domani perché sono sicuro che ci saremo potuti salvare. Stavamo iniziando a ingranare, e sono sicuro che avremmo dato tutto per ottenere la salvezza. Ti dirò di più: con questa squadra da settembre, Borzoli e San Cipriano si sarebbero dovuti guardare alle spalle“.
Campionato che purtroppo si è interrotto, e probabilmente sarà difficile riprendere. Che idea ti sei fatto?
“Non si potrà mai riprendere. Dobbiamo cercare di essere tutti sportivi e capire che la situazione è del tutto eccezionale, un fatto storico. Quello che è successo è una cosa talmente grande e anomala, con purtroppo tante persone che stanno morendo… chi è che sta pensando al calcio negli ultimi mesi? Secondo me bisogna annullare tutto. Capisco squadre come Borzoli che, sulla carta, avevano già vinto il campionato. Però per avere sentenze ci vogliono prove certe… e con trenta punti in palio, senza matematica non c’è nulla di certo. Anche in zona retrocessione, come si può pensare di dare verdetti? Ormai sarebbe comunque tutto falsato, anche riprendere un campionato più in là… è davvero difficile capire cosa fare”.
Comunque, la Vecchiaudace sul campo si sarebbe salvata?
“Sì, ne sono certo. Sarebbe stato clamoroso non riuscirci, con una squadra così”.
C’è qualcosa che proprio non ti piace del nostro calcio?
“So che sto per dire qualcosa di impopolare ma… l’allenatore che paga per allenare, non è un allenatore. Purtroppo è un aspetto che proprio non mi piace del nostro calcio, ed è un fenomeno che accade spesso. E i risultati infatti, non sempre arrivano. Una volta mi hanno chiesto diecimila euro per allenare una Serie D… a parte, che non ce l’ho 😂 e poi, non accetterei mai una cosa del genere, anche se ne avessi le possibilità. Non sarei un allenatore”.
Gianni, un’ultima domanda… dove ti vedi tra qualche anno?
“Sicuramente, a combattere in queste categorie. Se riesco a mantenere questo entusiasmo. Potrei anche tornare in un settore giovanile, oppure chissà… non mi dispiacerebbe nemmeno la panchina in una squadra femminile. È un movimento che sta diventando davvero serio, quindi, perché no? Mi alletta la cosa… poi oggi ai giovani riesci a insegnare poco e niente, perché la maggior parte di loro pensa di sapere già tutto. Le ragazze secondo me hanno invece ancora l’umiltà d’imparare. Mai dire mai… sono aperto a ogni possibilità. Il mio futuro, comunque, è ancora sui campi”.