Oggi vi raccontiamo, attraverso le sue parole, la storia di Cristian Fontana (conosciuto come “Jimmi”, soprannome dato da Celestini), capitano del Rivasamba. Una vita in arancionero: o quasi… sì, perché l’esordio nel calcio dei grandi l’ha fatto con la maglia bianconera della Lavagnese di Alberto Mariani, all’età di sedici anni. Un esordio che, così giovane, forse avrebbe potuto cambiargli la vita, soprattutto avendo la possibilità di disputare già così giovane un campionato di Serie D: ma la sua testa era altrove e forse non era ancora pronto a quel ‘salto’.
Ma “un uomo non è vecchio finché i rimpianti non sostituiscono i sogni”: e allora, dopo circa quindici anni trascorsi al Rivasamba (fatica persino a contarli…), dopo esser diventato una bandiera per questa piazza e aver finalmente accettato la fascia da capitano (che proprio non voleva, per non discutere con gli arbitri), oggi ha la possibilità di credere in un nuovo sogno, lasciandosi i rimpianti alle spalle: quello di allenare. Una sua grande passione, che ha iniziato a coltivare sin da giovane e che spera possa diventare la sua nuova strada nel mondo del calcio, una volta smesso di giocare… e allora, in bocca l lupo Jimmi!
Una vita… o quasi, al Rivasamba.
“Ho esordito con la Lavagnese, dove sono rimasto sino ai vent’anni. Poi fui ceduto in prestito al Riva, che mi ha riscattato: sono rimasto qui sino ai 27/28 anni, e poi ho fatto una stagione nel Vallestura. Sono ritornato qui mezza stagione e poi ho fatto un’ultima esperienza alla Sammargheritese, sino ai trent’anni, prima di tornare qui… dove sono ancora, a 36 anni”.
Quale di queste stagioni ricordi con maggior piacere?
“Per risultato sportivo, dico l’anno di Boris Stagnaro: è stata la stagione in cui ho realizzato più gol (2011/2012). Avevamo una bella squadra, che giocava bene e nonostante le difficoltà alla fine siamo riusciti a salvarci: abbiamo fatto tanta fatica, ma ricordo quell’anno con piacere perché avevamo costruito un bell’ambiente, con compagni e staff… ci siamo divertiti! Però c’è un’altra stagione che mi è rimasta nel cuore… che è quella in cui il mio ‘gemello del gol’ Andrea Rei è riuscito a suon di assist a farmi fare un sacco di reti (stagione 2005/2006)”.
Senti di aver perso qualche treno nella tua carriera?
“Ci penso spesso: quando ero a Lavagna ero un ragazzino, e non l’ho presa con lo spirito giusto. Ero ancora ‘acerbo’… avevo in testa tante cose, assolutamente non professionali, diciamo che ero in fase di crescita. E questo mio stato d’essere si rispecchiava in campo e mi ha portato a non cogliere l’occasione di giocare in Serie D così giovane. A quell’età avrebbe potuto cambiare tanto, si può fare il così detto ‘salto’. Successivamente nella mia vita poi ho avuto altre opportunità, mi hanno cercato tante squadre ma questa volta poi si è tratta di una scelta personale: ho sempre lavorato da quando ho vent’anni, tra me e me ho sempre pensato: E quando smetto di giocare cosa farò nella vita? E se mi faccio male? -. Diciamo che ho sempre visto il calcio come un divertimento, come una cosa che arricchisse la mia vita ma che non ne fosse la base principale”.
E divertendoti sei diventato praticamente una bandiera del Rivasamba, oltre che il capitano. Lo sei sempre stato?
“Avevo venticinque anni, ero già da cinque anni al Rivasamba e mi avevano chiesto di farlo: non ho voluto, perché poi quando c’è da discutere con l’arbitro io non ne ho proprio voglia… è sempre stato il più grande impedimento! Anche se naturalmente mi aveva fatto piacere che me l’avessero proposto. Oggi lo sono perché ormai sono veramente il più vecchio per distacco e Del Nero (dopo che è andato via Di Carlo) mi ha chiesto se lo potevo fare io: i giovani mi seguono e mi ascoltano, ed è sembrata la scelta più giusta”.
Hai un bel rapporto con i giovani quindi?
“Bastone e carota.. prima valuto bene come rapportarmi. Ma devo fare una premessa: ho preso il patentino da allenatore e ho già fatto qualche esperienza con i giovani (Juniores Rivasamba e Vallesturla; Esordienti al Villaggio Calcio): un minimo di conoscenza ‘psicologica’ dei ragazzi in questo senso mi aiuta, perché riesco ad avere un rapporto differente col ragazzo, a seconda della sua personalità, della sua storia e dei suoi problemi”.
Pensi possa essere questo il tuo ruolo nel futuro, quando smetterai di giocare?
“Lo spero, anche perché mi è costato molto. L’ho preso all’età di ventisette anni perché mi appassionava e la vedevo come un’opportunità futura. Da giocatore, ho sempre seguito con molto piacere ciò che mi indicavano i miei allenatori, e con la mia testa cercavo di approfondire e perfezionare tutto quello che mi dicevano. È davvero difficile fare l’allenatore, soprattutto in certe categorie: provo molta ammirazione per i tecnici che da tanti anni sono nel settore”.
A proposito di allenatore… ce n’è uno che stimi e porti nel cuore? Da cui magari potresti rubare qualcosa in futuro, a questo punto!
“Difficile dirtene solo uno… sicuramente ti faccio il nome di Natalino Bottaro: lui mi mise in condizione di fare bene quando sono arrivato al Rivasamba, mettendomi sin da subito al centro del progetto. Gli devo tanto, e non lo dimentico. Poi, da ogni allenatore cerco di prendere qualcosa di positivo… anche da quelli che non mi hanno, diciamo, fatto impazzire. Ogni allenatore ha i suoi pregi e i suoi difetti. Ti posso fare due nomi di allenatori che non ho mai avuto e che invece mi sarebbe piaciuto conoscere: Luca Monteforte, un allenatore vincente; e Pietro Buttu, che riesce a fare sempre molto bene, soprattutto con i giovani. Li ho visti da avversario, mi sarebbe piaciuto averli per capire in profondità i loro concetti e la loro idea di gioco”.
Capitolo giocatori: ci sono compagni di squadra che ti porti nel cuore? Chi è invece il più forte con cui tu abbia mai giocato?
“No, sono una marea: ho sempre legato con tutti e non ho mai litigato con nessuno. O meglio, le discussioni ci sono sempre, ma non riuscendomi a tenere dentro le cose, ho sempre chiarito subito senza che si creassero così problemi grossi. Poi, sono uno di quelli che nello spogliatoio gioca e si diverte. I più forti? Ho giocato con tanta gente forte… ti faccio il nome di Claudio Pelosi, che ho incrociato a Lavagna: vederlo giocare era pazzesco. Oppure anche il “Pampa” Martin, che ho avuto sia a Lavagna che al Rivasamba: sotto porta praticamente infallibile. Tecnicamente ti posso fare i nomi anche di Prunecchi, Russo, Bertorello… ah, e naturalmente, Simone Del Nero: un giocatore fortissimo”.
C’è qualche aneddoto divertente che ricordi con i tuoi compagni di squadra?
“Con Olmo Pozzo siamo molto amici anche fuori dal campo… e con lui ci divertivamo nelle trasferte. Una volta per esempio, giocavamo ad Andora, in quella stagione in cui eravamo primi in classifica davanti all’Entella: una partita importantissima. Dopo pranzo, senza che ci vedesse nessuno, abbiamo ‘addobbato’ il pullman con palme, carta igienica… ti lascio immaginare. Quella partita la stavamo anche perdendo, ma poi per fortuna l’abbiamo ribaltata e vinta al 95esimo. Altrimenti, alla scoperta del pullman in quelle condizioni, non so cosa ci avrebbero fatto… Oppure, un’altra volta dovevamo andare in trasferta a Ventimiglia: io e altri cinque siamo andati a Montecarlo il giorno prima e abbiamo dormito in barca, dicendo alla squadra che avremmo dormito in un albergo lì a Ventimiglia. Il giorno dopo, quando siamo arrivati (in ritardo) all’appuntamento, ci chiesero in che albergo avessimo dormito… noi ne avevamo cercato uno a caso su google, e abbiamo detto quel nome ma… una figuraccia: era proprio l’albergo davanti al ristorante dove avevamo pranzato… Insomma dai, mi sono divertito”.
Secondo te in tutti questi anni il calcio è cambiato?
“È cambiato tanto soprattutto a livello economico. Vedo sempre meno progetti a lungo termine, come quello di Compagnoni con la Lavagnese; ad esempio, guarda l’Albissola che brutta fine ha fatto… Poi ho notato che s’investe meno nelle strutture, e vedo giovani dalla mentalità un po’ diversa…”
Chissà se cambierà ancora dopo lo scoppio di questa pandemia. Ma torniamo a noi, quest’anno col Rivasamba, stagione top o flop?
“Il nostro campionato ha perso un po’ di brillantezza dopo Natale, a causa dei tantissimi infortuni: io personalmente ho subito due operazioni, ho giocato in tutto 8 partire e mai al 100%, sempre cercando di rincorrere la condizione. Paterno, che stava facendo bene si è rotto il crociato; Monteverde e Del Nero pure, Costa ha avuto problemi col menisco… insomma, avevamo cominciato bene e poi, un po’ per questi motivi, abbiamo avuto un calo importante (un pareggio, sei sconfitte nelle ultime sette partite) che ci ha fatto ritrovare a soli tre punti dalla zona play-out. A questo punto, forse, meglio che sia finito sto campionato…”
Quindi non pensi si possa ripartire?
“No, non penso si possa ripartire, soprattutto nei dilettanti non ci sono i mezzi sufficienti per riuscirci. Siamo dilettanti, la maggior parte di noi lavora e anche riprendere, magari giocando 8 partite in un mese, sarebbe improbabile; così come è impensabile per noi tenerci in forma da casa: non tutti abbiamo palestre e giardini per allenarci… senza contare che ormai siamo fermi da due mesi: spero che la federazione prenda una decisione sensata. Ci sono troppi aspetti che secondo me rendono impossibile una ripresa“.
E per quanto riguarda promozioni o retrocessioni, in caso di stop?
“Difficilissimo decidere qualcosa, sarà complicato per chi si deve prendere la responsabilità di queste scelte…
Ultima domanda. La tua strada nel mondo del calcio potrebbe continuare in un altro ruolo, e lo abbiamo capito… ma hai già pensato a quale potrà essere l’ultimo anno da giocatore? Per esempio: tra cinque anni, dove ti vedi?
“Tra cinque anni non so. Sono sincero, non so neppure se giocherò il prossimo. La voglia ancora non mancava eh, lo stimolo c’è… il problema è che sto iniziando ad avere un po’ di difficoltà a stare dietro a tutto: ho due figli, un lavoro che mi porta via tempo, e in questa categoria devo allenarmi quattro volte alla settimana… non credo nemmeno, come fanno altri, di voler scendere di categoria per ridurre l’impegno. In campo, in qualsiasi categoria, bisogna dare tutto: non si deve giocare per passare il tempo, soprattutto nel rispetto di chi gioca con motivazioni più forti. Non voglio continuare a giocare e fare il minimo sindacale. Spero, come ti ho detto, di diventare un allenatore a tempo pieno: smettendo di giocare, avrei l’opportunità di concentrarmi di più su questo e soprattutto dedicarvi più tempo, cosa che sino ad oggi non ho mai potuto fare”.
Questo era Cristian Fontana in “CAPITANO, MIO CAPITANO”
Torna alla Home di Dilettantissimo